MOVM STV Riccardo Grazioli Lante della Rovere
“Ho deciso: io andrò per mare”, con queste parole, ripetute varie volte anche
in forma diversa, Riccardo Grazioli Lante della Rovere aveva espresso il desiderio di entrare in Marina quando era piccolo, nonostante soffrisse il mal di
mare. Una volta, a bordo di una nave, stette talmente male che fu disteso su un letto di una cabina, e alla domanda della madre se aveva ancora intenzione di entrare in Marina, lui rispose: “Più che mai mammà, più che mai”.
Entrò in Accademia Navale nel 1904 per frequentare i corsi normali per ufficiali del corpo di stato maggiore, e si applicò negli studi intensamente e con volontà. Un suo ufficiale ai corsi ricordò che “la sua riuscita non poteva
essere dubbia … e … mai diede luogo alla più piccola lagnanza, ma solo ad elogi.” A bordo dell’incrociatore Amerigo Vespucci, durante la prima crociera addestrativa, era tanta la voglia di darsi da fare che un giorno, un ufficiale, accortosi delle mani piagate per l’intenso lavoro con le manovre, dovette “obbligarlo a farsi medicare e a tenersi a riposo”.
In Estremo Oriente
Dopo l’uscita dall’Accademia Navale, a novembre del 1907, con il grado di guardiamarina, fu imbarcato sulla nave da battaglia Regina Margherita. Ma, forse, la vita di routine a bordo della nave ammiraglia non lo soddisfaceva, o non appagava la sua voglia di apprendere e di viaggiare, e così fece richiesta di destinazione all’estero.
La domanda fu accolta, e Grazioli fu destinato sull’ariete torpediniere Vesuvio, classe “Etna”, allora di stanza nei mari della Cina. Il giovane ufficiale arrivò a destinazione nell’aprile del 1908. A bordo del Vesuvio, e anche nei periodi di licenza per proprio conto, ebbe modo di vedere e conoscere paesi e genti delle isole giapponesi, della penisola indocinese e della Siberia, oltre che della Cina. In quei mari navigò fra i monsoni e i tifoni, con il clima tropicale opprimente e con il freddo del Nord, ma era entusiasta dei nuovi orizzonti e passò “le ore vuote delle lunghe navigazioni senza approdo, studiando le lingue straniere, Egli che già conosce perfettamente il francese, l’inglese ed il tedesco”.
Quando il Vesuvio fu richiamato in patria, Grazioli chiese di essere trasferito sull’ariete torpediniere Puglia, classe “Regioni”, l’unità che avrebbe sostituito in Estremo Oriente il Vesuvio. La sua voglia d’avventura e di conoscenze non era mai appagata, e così, quando anche il Puglia fu richiamato in Italia, cercò in tutti i modi di restare in Cina.
Tanta era la determinazione, che decise di andare a parlare con il comandante della legazione italiana, a Cing-wan-tao, che si trovava a 30 km dalla base navale di Shan-hai-kwan. Si fece accordare un permesso di ventiquattro ore, e a piedi si recò presso la delegazione, dove giunse che era già buio.
Dopo aver conferito, si rimise in cammino, ma sbagliò strada; accortosene, ritornò indietro e prese poi la strada giusta. Al mattino, poco prima della scadenza del permesso, fu trovato, stremato, ai piedi della porta del presidio della Regia Marina a Shan-hai-kwan. Il conferimento ebbe un esito positivo, e alla partenza del Puglia, nel 1909, il Grazioli fu destinato alla Guardia della legazione italiana. In questo periodo, fra le altre attività, Grazioli effettuò un viaggio in Manciuria e completò gli studi delle lingue russa e cinese. Promosso sottotenente di vascello nel maggio 1911, fu richiamato in patria, dove giunse nell’agosto.
Sul Marco Polo
A settembre, durante la licenza, fu richiamato per imbarcarsi sull’ariete corazzato Marco Polo, una delle numerose unità che nel settembre 1911 furono riarmate nella previsione di un conflitto armato contro l’Impero Ottomano.
Secondo le direttive impartite dall’ammiraglio Aubry il 27 settembre, e variate leggermente il 30 settembre, il Marco Polo fu assegnato all’Ispettorato Siluranti, comandato dal contrammiraglio Luigi di Savoia, duca degli Abruzzi. Il Ministero della Marina fece uscire da Taranto il Marco Polo affinché si portasse davanti San Giovanni di Medua (sulla costa nord dell’Albania), nel cui porto erano in corso operazioni d’imbarco di contingenti ottomani (uomini, cavalli e armi) sul piroscafo turco S’abah. La guerra era iniziata ma sul Marco Polo, dotato di apparati radio di non elevata potenza, non se n’era a conoscenza perché era stato perso il contatto radio con la stazione RT di Santa Maria di Leuca. In una lettera di Grazioli del 16 ottobre 1911, iniziata e mai inviata, si legge che “il Marco Polo, giunse in zona ... dando poi fondo davanti San Giovanni di Medua, accanto al Sabah, passando due notti. All’albeggiare del secondo mattino [alle 6:15 del 1° ottobre 1911, nda] la Lombardia ci avverte della dichiarazione di guerra, ed abbiamo catturato senz’altro il piroscafo”. Dal piroscafo turco di 1380 t e con 33 membri d’equipaggio, nel frattempo, erano stati fatti sbarcare uomini e armamenti, e così gli uomini del Marco Polo trovarono solo pochi militari, la cassa con i fondi destinati alle truppe ottomane e 550 t di carbone. Il Marco Polo scortò poi il piroscafo turco fino a Brindisi, dove fu preso in carico dalla Capitaneria di Porto. Dopo gli scontri vittoriosi di Prevesa e Gomenizza e le direttive politiche di non intervento, per “convenienza politica”, contro sistemazioni a terra nei territori ottomani nei Balcani, la guerra in Adriatico fu limitata alla sorveglianza delle acque a sud di Otranto e alla lotta al contrabbando di guerra, cosicché alcune unità dell’Ispettorato Siluranti furono riassegnate ad altri comandi; fra queste il Marco Polo. Il 12 ottobre 1911, giunse a Tripoli, scortato dalle unità della 2a Divisione della II Squadra, cui si erano aggiunti la corazzata Ammiraglio di Saint Bon e il Marco Polo, il grosso del convoglio (19 piroscafi) con a bordo il personale, e i mezzi del corpo di spedizione del R. Esercito, al comando del generale Carlo Caneva. Lo stesso giorno, l’ammiraglio Aubry emanò nuove direttive, in considerazione delle nuove situazioni venutesi a creare in Adriatico e in Africa settentrionale, riassegnando le forze navali: il Marco Polo fu assegnato alla Divisione Navi Scuola della II Squadra Navale, con base a Tripoli. I compiti affidati alla divisione prevedevano le operazioni di sbarco delle truppe, dei servizi e dei materiali, la protezione del corpo di occupazione in Tripolitania, il mantenimento delle comunicazioni con l’Italia, e l’occupazione di altre località costiere, secondo le disposizioni del generale Caneva, comandante supremo delle forze italiane in Tripolitania. Del periodo a Tripoli ne parla anche Grazioli; nella citata lettera del 16 ottobre scrive che il tempo trascorreva con i ritmi dettati dallo “sbarcare … militari, armi, … carriaggi … aeroplani … A Tripoli sulla città non sventolano che bandiere tricolori, sulle moschee e sui minareti … non si sentono che marce reali da tutti i punti dell’orizzonte … Tripoli se non avesse le moschee, sembrerebbe una città dell’Italia meridionale durante la visita del deputato collegiale”. Quest’aria di festa, che era periodicamente interrotta da piccoli colpi d’arma da fuoco, non era però presente nelle attività fuori Tripoli.
A Homs
Il 17 ottobre, il Marco Polo fu inviato a cooperare con l’incrociatore corazzato Varese e la torpediniera d’alto mare Arpia nel bombardamento di Homs, iniziato il giorno prima a seguito della mancata accettazione della resa delle autorità ottomane.
All’alba del 18 il Marco Polo arrivò davanti Homs, e secondo le direttive del Varese iniziò il bombardamento delle postazioni nemiche, che continuò, a intervalli, fino alle 18 del pomeriggio, quando iniziò a sventolare una bandiera bianca. Cessato il fuoco, alcuni notabili della città richiesero l’intervento degli italiani per bloccare i saccheggi che erano iniziati dopo la frettolosa partenza dei turchi.
Ne seguì, nei giorni successivi, lo sbarco dei tre battaglioni dell’8° Reggimento Bersaglieri, giunti a bordo dei piroscafi Liguria, Orione, Rio Amazones e Solunto. Una volta attestate a terra le truppe del R. Esercito, le unità italiane rientrarono a Tripoli, a meno del Marco Polo, che rimase in zona pronto a fornire supporto alle forze a terra.
Pochi giorni dopo, il colonnello Giovanni Maggiotto, comandante dell’8° Reggimento Bersaglieri, decise di eseguire un’avanzata a ovest di Homs, allo scopo di occupare il Margheb (o Mergheb), un’altura a 4 km dalla città, da cui poter controllare l’accesso principale a Homs per chi proveniva dall’interno della regione. Al Marco Polo fu richiesto l’invio della batteria delle forze da sbarco, che sarebbe stata sistemata sull’altura, una volta occupata.
L’operazione si sviluppò il 23 ottobre, e sull’altura furono posizionati tre cannoni da 76 mm N2 con i rispettivi retrotreni, dopo essere stati smontati e portati a spalla da marinai e bersaglieri, poiché non vi erano strade di accesso alla sommità, e i quattro muli a disposizione trasportavano le cassette di munizioni.
La postazione della R. Marina, comandata dal tenente di vascello Corrado Corradini Bartoli del Marco Polo, così come le posizioni presidiate dai bersaglieri furono poi sottoposte a un violento fuoco nemico. Il capitano di vascello Maffeo Scarpis, comandante del Marco Polo, così descrisse gli avvenimenti di quel giorno:
Durante il combattimento del 23 Ottobre, essendosi i bersaglieri spinti molto innanzi, facendo fuoco in varie direzioni, incaricai il sottotenente di Vascello GRAZIOLI, di recarsi a terra per chiedere al Colonnello [Maggiotto] ed al Sotto Tenente di Vascello CORRADINI, informazioni sulla posizione occupata dal nemico, il quale da bordo non era allora visibile. Giunto a terra, e saputo, che il Colonnello si trovava molto lontano, sulla linea del fuoco, il Signor GRAZIOLI si diede subito alla ricerca di un cavallo, ed appena avutolo, partì al galoppo direttamente per il Margheb.
Appena giunto in detta località, egli osservò personalmente le posizioni nemiche, e poi attraversando sempre al galoppo la linea del fuoco, si portò dal Colonnello, per avere informazioni sulle posizioni dei nostri.
Ritornato a bordo, quando seppi che egli aveva in così breve tempo, compiuto la missione affidatagli, in modo così completo ed intelligente, gli feci i più vivi elogi in presenza del Comandante in 2a e lo incaricai di ritornare a terra per attingere nuove informazioni.
In effetti, le notizie sulle posizioni relative delle forze italiane e nemiche permisero al Marco Polo di riprendere il fuoco con efficacia, consentendo alle truppe di poter rientrare nelle proprie linee di difesa attorno a Homs, senza subire ulteriori danni.
Il rapporto prosegue:
Nel recarsi per la seconda volta a terra, il Signor GRAZIOLI, venuto a conoscenza che il Comandante della batteria era stato ferito e trasportato all’Ospedale, affidò la missione che aveva ricevuta all’aspirante guardiamarina di comandata nella barca a vapore, e fattosi sellare un cavallo da carabiniere, partì al galoppo, per rimpiazzare il collega ferito. Egli raggiunse la batteria ai piedi del Margheb, quando le truppe si ritiravano e quando già cominciava ad imbrunire. Alcuni oggetti appartenenti alla batteria non erano stati ancora ritirati dal colle; la gente era esausta dalle fatiche e dal digiuno, ed era anche un po’ disorientata per la mancanza del Comandante e del capo=pezzo MELONI; il terreno, oltremodo accidentato, rendeva difficilissimo il trasporto di un carico pesante, eppure la nostra batteria rientrò quella sera in città completa, e con tutti gli accessori, e se nulla fu perduto o dimenticato, il merito principale spetta, senza dubbio, all’energia ed alla ferrea volontà spiegata in quella circostanza dal Sotto Tenente di Vascello GRAZIOLI.
Grazioli, infatti, incontrò gli uomini della batteria che stavano ripiegando su Homs; dopo averli rincuorati, si accorse che non tutti i pezzi erano stati portati via dalla postazione sull’altura. Con alcuni uomini, andò sul Mergheb e recuperò il materiale, un avantreno di un cannone e altri pezzi, raggiungendo poi gli uomini della batteria, sotto il fuoco nemico. Grazioli rimase e riorganizzò la batteria. Di quei pochi giorni, durante i quali svolse le mansioni di comandante di batteria, ne scrisse uno degli addetti, il 2° capo cannoniere Emilio Signanini, in una lettera del 10 novembre 1912, indirizzata al padre di Grazioli:
Allora come sempre, lo abbiamo visto più che ordinare, lavorare per noi … Il vederlo affabile, sempre buono, non dormire nella notte per vegliare alla nostra difesa … il vederlo dividere con noi il suo vitto, sempre interessandosi del nostro benessere, ha fatto di lui per noi, che lo abbiamo visto in quei giorni, una persona sacra per cui tutti avremmo dato la vita.
Nella stessa trincea dove era sistemata la batteria della Marina, era sistemato anche un plotone di bersaglieri al comando del tenente Luigi De Martini. Il 28 ottobre, le forze turche e indigene attaccarono violentemente le postazioni italiane; durante la sparatoria, De Martini fu colpito mortalmente, e Grazioli assunse il comando del plotone, inviando un biglietto, scritto a matita, al colonnello Maggiotto:
Colonnello Maggiotto,
Tenente De Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei, se possibile, inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale.
Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni.
Grazioli.
L’attacco del nemico continuò: Grazioli, nel cercare d’individuare meglio dove indirizzare i tiri della batteria, si espose alla fucileria nemica, e, mentre stava impartendo ordini, fu colpito mortalmente alla testa da tre pallottole.
Nella citata lettera, Signanini scrisse: “Il signor Grazioli era morto. Non abbiamo pianto: gli eroi non si piangono, non si piange chi come il nostro ufficiale muore sul campo dell’onore per la gloria d’Italia …”.
Stephan Jules Buchet - Scarica il documento in pdf